Prime Esperienze
IL POMPINO IMPERIALE al Teatro Nacional
di Shoganai65
17.11.2021 |
7.155 |
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"Questa donna mi faceva sangue..."
Vi capita mai di ripensare al luogo, alla situazione, alla location, più insolita, folle, eccitante in cui avete fatto sesso?Sicuramente, specie tra coloro che si trovano su questo sito, salterebbero fuori migliaia di storie: diverse, assurde, uniche, magari irripetibili nel loro genere e comunque speciali per ognuno dei protagonisti.
Intendiamoci non sto parlando del tipo di rapporto: magari del primo rapporto a tre, o con una persona dello stesso sesso o di colore, o di uno scambio di coppia particolarmente riuscito o di un’orgia affollata o di una Gangbang. No.
Sto parlando proprio della LOCATION più assurda in cui vi è capitato di aver fatto sesso, di qualsiasi tipo. Per quanto mi riguarda diverse sono nate dalla mia fantasia, dai miei desideri e si sono tradotte in realtà con compagne di volta in volta più complici e audaci: un veloce pompino all’interno di un ascensore prontamente bloccato di un hotel a Milano; una mitica scopata da seduti, con tanto di tuta da sci e scarponi ai piedi, sulla cabinovia da Arabba al Col dei Baldi; un pomeriggio di sesso sfrenato all’interno di una grotta marina lungo le coste dell’Istria e molti altri… Tutti splendidi ricordi.
Ma la situazione più assurda in assoluto l'ho vissuta nel corso di una serata incredibile a Panama City, al Teatro Nacional (ed è assolutamente vera!)
Ero arrivato nel pomeriggio con un volo KLM da Amsterdam per partecipare ad un’importante Fiera internazionale di settore. Sul lungo volo in business (pagato dalla ditta) ero seduto accanto ad un grasso avvocato belga mentre sul lato finestrino aveva preso posto un’affascinante donna sulla trentina, piuttosto alta, coi capelli lunghi, mora.
All’inizio mi ero messo a leggere un po’ di mail di lavoro, mi ero visto un paio di film, stuzzicato un po’ di cibo ma senza troppa fame, e ordinato un paio, forse anche tre gin tonic per trascorrere il tempo e sondare l’eventuale disponibilità dell’hostess che mi serviva. Purtroppo era fresca di matrimonio, mi disse, ero arrivato troppo tardi. Sorrise e mi portò un altro gin tonic.
Ogni tanto buttavo l’occhio verso la donna del finestrino ma aveva sempre la testa appoggiata sul cuscino e sembrava dormire pacifica. Beata lei.
Quando mancavano un paio di ore all’atterraggio notai che stava per alzarsi per andare alla toilette e decisi che quello poteva essere il momento giusto per sgranchirsi un po’ le gambe ed un’occasione per attaccare bottone.
“Si ferma anche lei a Panama City o deve prendere un altro aereo” le chiesi in inglese mentre stazionavamo in piedi in corridoio.
“Mi fermo in città – rispose – sto andando ad una Fiera”
“Ah ma allora ci vedremo senz’altro anch’io sono qui per la Fiera, rappresento una ditta italiana. Mi hanno prenotato una suite al JW Marriott Hotel, in Calle Punta Colon”.
“Bene, se non ricordo male dovrebbe essere il mio stesso hotel. So solo che all’arrivo in aeroporto mi verranno a prendere con un van. Nel caso potremmo fare il tragitto assieme”.
“Molto volentieri” dissi.
Tornammo verso i nostri posti a sedere e continuammo a parlare piacevolmente fino al momento dell’atterraggio. Eva, questo il suo nome, si dimostrò subito molto simpatica e aperta. Era nata in Olanda ma il padre era originario delle Antille, dell’isola di Aruba, da qui il bel colore olivastro della carnagione e i capelli neri. I tratti del viso erano il frutto di una miscela ben riuscita di radici creole ed europee. La bocca era carnosa e sensuale. Il collo lungo e sottile. Indossava un maglioncino azzurro attillato con le tette belle in vista. Mentre stazionavamo in piedi nel corridoio avevo già potuto apprezzare le lunghe gambe sinuose che terminavano in un culo alto e sodo, fasciato da un paio di jeans attillati che lo mettevano in risalto.
Questa donna mi faceva sangue. Se avessi dato retta al mio uccello avrei cercato di sbattermela anche lì sull’aereo, come già era capitato altre volte in passato, ma visto che ci saremmo sicuramente rivisti nel corso della Fiera decisi di aspettare il momento più adatto.
All’uscita dall’aeroporto Tocumen, ci venne subito incontro un omone con i baffi e la divisa da autista. Reggeva in mano una cartella intestata JW Marriott Hotel, con sopra scritto il mio cognome e quello di altri tre passeggeri, tra cui quello di Eva. Caricammo le valigie su un van Mercedes con cui, nel giro di venti minuti, raggiungemmo il nostro hotel, situato in magnifica posizione sulla Punta Pacifica, con di fronte le due isolette dell’Est e dell’Ovest.
Quando terminammo il check-in si erano fatte le 18.00 e da programma ci sarebbero tornati a prendere nella hall alle 19.00 per portarci ad assistere ad un dinner-show organizzato dall’Ente Fiera e dal Ministero del Turismo, cui avrebbero partecipato le più alte cariche dello Stato. Impossibile mancare. Dress code: abito elegante.
Un’ora di tempo per salire in camera, disfare la valigia, fare la barba, una doccia rigenerante e mettersi in tiro per la serata. Per queste occasioni porto sempre un paio di completi Armani a rappresentare il fashion style italiano. Optai per un gessato a righe sottilissime, camicia bianca e cravatta bordeaux. Alle 18.55 scesi nella hall bello come il sole (o almeno così mi sentivo).
Cinque minuti dopo, mentre attendevo con un’altra decina di invitati l’autista che ci doveva accompagnare, dall’ascensore uscì Eva. Era una bomba sexy. Truccata come una modella, rossetto sulle labbra carnose, capelli raccolti in una lunga coda, camicia/body nera in crepe leggero con scollo incrociato, pantaloni di pelle super attillati e scarpe col tacco 12. Divina!
Con grande invidia degli altri invitati si diresse sorridente verso di me scusandosi per il ritardo.
“Nessun ritardo” risposi. “E comunque sarei stato disposto ad aspettare delle ore per vederti così bella” aggiunsi sottovoce chinandomi verso il suo orecchio. Sorrise compiaciuta.
Sentivo che c’era del feeeling…
Il dinner-show si sarebbe tenuto al Teatro Nacional, nel Casco Viejo, la parte antica della città, a 5 chilometri dall’hotel. Avevamo già tutti i posti assegnati in platea, e purtroppo io ed Eva eravamo in file diverse. Il programma della serata prevedeva i saluti di rito da parte delle autorità, una lunga serie di danze folkloristiche panamensi come il “tamburito”, il “punto”, la “denesa”, eseguiti dalla Compagnia Internazionale di Folklore Latino Americano “Viva Panama” e alla fine l’esecuzione da parte della banda dell’inno nazionale. E poi finalmente tutti a mangiare.
Inutile dire che dopo due balletti mi ero già rotto le balle. Cercavo con gli occhi Eva ma doveva essere seduta dietro di me perché non la vedevo. Approfittando di un cambio scena mi alzai di soppiatto per guadagnare l’uscita dalla sala. Nel farlo incrociai lo sguardo di Eva e le feci cenno di uscire. Sorrise. Alla pausa successiva mi raggiunse nel foyer.
“Belle queste danze ma non ne potevo più. Preferisco ammirare te” le dissi cercando di tastare il terreno.
“A te basta ammirare? Credevo gli italiani fossero più audaci…”
Che diavola tentatrice pensai tra me e me.
La presi per una mano e la trascinai dietro una colonna. Provai a baciarla ma mi bloccò sul nascere.
“Non qui, ci potrebbero vedere, non sarebbe professionale”.
Mi afferrò lei la mano e cominciò a salire le scale che portavano verso i palchi situati al secondo e terzo piano. Quella sera non erano stati aperti al pubblico ed erano vuoti. Tenendoci per mano come adolescenti in fuga speravamo di riuscire ad entrare almeno in uno di quei palchi ma tutte le porte erano chiuse a chiave. Tutte tranne l’ultima.
Entrammo stando bassi per non essere visti dalla platea. Chiudemmo a chiave la porta alle nostre spalle. Ridendo in silenzio ci sdraiammo sulla moquette rossa del pavimento. Le danze sul palcoscenico proseguivano secondo programma, nel nostro palco privato stavano invece per iniziare. Era pura follia. Mi piaceva.
Cominciammo a baciarci così, con quel desiderio intenso che a stento avevo tenuto a bada in aereo. Lei non era da meno. Calda, sensuale, animalesca. Baciava da paura. Sentivo le tette sode, i suoi capezzoli duri premere sul mio petto. Con le mani le accarezzavo il culo stretto nei pantaloni di pelle. Il cazzo era esageratamente duro. La situazione era eccitante da morire nondimeno dovevamo stare attenti a non fare troppo rumore per non farci scoprire.
Mi sdraiai sopra di lei e cominciai a spogliarla. Via le scarpe, poi i pantaloni e la camicia/body. Restò in slip e reggiseno, aveva un corpo da favola. Mi avventai sul seno. Ciucciai le tette, i capezzoli, li succhiai uno ad uno con la passione che aumentava. Scesi all’ombelico con la lingua ma non mi fermai. Raggiunsi il suo monte di Venere. Le misi in bocca le dita della mano e poi le infilai una alla volta nella figa calda, bollente. Si bagnò all’istante. Un invito a leccargliela con gusto. Dall’esterno verso l’interno, dal basso verso l’alto. Mi soffermai sulla clitoride: la leccavo con la punta della lingua e con due dita la stimolavo. Iniziò a contorcersi, le scosse che partivano dalla figa arrivavano al cervello attraversando tutto il corpo. Infilai nuovamente le dita nella vagina per stimolarle il punto G mentre proseguivo indefesso la mia opera sulla clito.
Sentivo che stava per godere. Le misi una mano sulla bocca per evitare che gridasse e in quel preciso istante mi venne in gola, spruzzando gocce dolcissime che assaporai con avidità. Eravamo scossi. Era stata fantastica. Avesse potuto urlare avrebbe tirato giù il teatro. Ma il meglio per me doveva ancora arrivare.
Guardai l’ora: lo spettacolo volgeva al termine però Eva non era ancora soddisfatta. Voleva tornarmi il favore, disse. Toccò a me sdraiarmi supino e a lei spogliarmi. Mi arrotolò i pantaloni di Armani alle caviglie, con le mani fece uscire il mio grosso cazzo dai boxer e cominciò a segarmi guardandomi negli occhi. “Che porca” pensai.
“Ti hanno mai fatto un pompino a teatro?” mi chiese spudorata.
“Mai prima d’ora” le risposi prendendole la testa e spingendola verso di lui.
Lo prese in bocca dolcemente, mentre io mi lasciavo andare al piacere. Mi leccava le palle, le mordicchiava, poi andava lungo l’asta con le labbra, lo succhiava, leccava il glande e poi lo inghiottiva. Tutto molto lentamente.
Io ero in viaggio con la mente e stavo godendo ad occhi chiusi quando improvvisamente sentimmo un rumore ed un brusio giungere dalla platea. Sembrava si fossero alzati tutti. Un po’ seccato stavo per ricompormi ma Eva mi bloccò.
“Rilassati, devono eseguire ancora l’inno nazionale. Abbiamo tempo…” furono le ultime parole che sentii.
Riprese il cazzo in bocca e contemporaneamente cominciò a stimolarmi la prostata inserendo due dita nell’ano e muovendo i polpastrelli in circolo. Aumentò il ritmo delle ciucciate. Con una mano si infilava il cazzo sempre più in profondità nella gola, con l’altra mi dava piacere attraverso il culo. Mi insalivava il glande, lo avvolgeva con le labbra carnose, lo stuzzicava con la punta della lingua, poi scendeva e risaliva lungo l'asta.
In sottofondo la banda della Marina Militare stava eseguendo l’inno nazionale. Mi immaginavo tutte le autorità ed il pubblico in piedi nella platea sotto di noi, mentre quassù Eva mi spompinava come non ci fosse un domani e io stavo allegramente per esplodere.
Sulle parole dell’inno che dicono “Alcanzamos por fin la victoria, En el campo feliz de la unión…” (Abbiamo finalmente ottenuto la vittoria, Nel campo felice dell'unione…) non mi trattenni più e cominciai a godere, stringendo i pugni e trattenendo un urlo disumano, mentre Eva non mollava la presa e inghiottiva tutta la sborra che sgorgava a fiotti dal mio uccello, senza perdersi nemmeno una goccia.
Anche le note dell’inno cessarono e in platea ci fu un lungo applauso.
Ci mettemmo a ridere: era la conclusione perfetta per quel “pompino imperiale”.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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